La chiesa più antica di cui si trova traccia certa è la chiesa di S. Anatolia, già fondata agli inizi del IX secolo dai monaci benedettini dell’Abazia di Farfa.
Le proprietà terriere di questo monastero raggiungono la valle dell’Aso grazie ad alcune donazioni concesse dal duca di Spoleto Faroaldo II agli inizi dell’VIII secolo, dal successivo duca Ildebrando nell’anno 787 sequestrando i beni di Rabenonne conte della città di Fermo e di Alerona o Falerona sua consorte.
In queste nuove terre i monaci si stabiliscono creando dei nuovi monasteri o piccole chiese rurali dotate di celle monastiche.
Alcune pergamene di questo monastero riguardano la chiesa di S. Anatolia.
La prima è una bolla Papale dell’anno 816 con la quale il Papa Stefano IV conferma al monastero di Farfa il possesso dei beni e privilegi. In questo lungo elenco di possedimenti farfensi viene nominato il fondo Usiano o Hiliano sede della chiesa di S. Anatolia.
Nella seconda ritroviamo lo stesso fondo e la stessa chiesa, “Ex fundo Usiano qui et Ilianus vocatur, uncias sex in quo est aecclesia Sancta Anatholiae”, quindi, con la conferma di questi possedimenti al monastero, la chiesa è già stata costruita.
La primitiva chiesa sorgeva sul versante sinistro della valle dell’Aso, tra il fiume e l’attuale santuario della Liberata.
I monaci scelsero quel luogo per edificare la chiesa in quanto è uno snodo viario molto importante dato che collegava le due città romane di Ascoli e Fermo. Nel raggio di cinquecento metri si trovano molti reperti archeologici importanti.
Oltre ai due miliari sono state rinvenute due grandi tombe con iscrizioni in contrada Marazzano, e intorno l’area dove sorgeva la chiesa, emergono molti frammenti di ceramica e coppi di epoca romana attribuibili al II – IV secolo.
Nel X secolo la lotta per il comando dell’abazia di Farfa si fa cruenta, i monaci Ildebrando e Campone avvelenano il loro abate, Campone prende il potere del monastero e si insedia nell’abazia di Farfa, Ildebrando rimane nelle Marche a S. Vittoria. Geloso del potere di Campone si rifiuta di riconoscerlo come abate, fortifica il paese e scatena una guerra contro Campone.
I due ingaggiano vassalli per ingrandire i loro eserciti cedendo loro territori, chiese o qualunque cosa avesse valore pur di sconfiggere il rivale. Nel 960 nella zona di Petritoli vengono ceduti tutti i territori che sono di proprietà del monastero ad eccezione della chiesa di S. Anatolia, che rimane un possedimento isolato in mezzo alle corti cedute o date in “prestaria” a tre generazioni e mai più riavute indietro.
La chiesa di S. Anatolia è di proprietà dei monaci Farfensi dagli inizi dell’800 fino alla metà del XI, secolo quando passa alle dipendenze del Vescovo di Fermo[5] e diventa Pieve. La conferma di ciò avviene nel 1063 quando il Vescovo di Fermo Uldarico effettua uno scambio di territori con Longino di Suppone; nel lungo elenco dei possedimenti che concede a questi, si riserva la pieve di Santa Maria Mater Domini e anche la Pieve di Sant’Anatolia.
Nel XII secolo non vi sono notizie, sappiamo solo che il castello di Petritoli viene ampliato con le corti di pertinenza del castello di Cecilia e del castello di Paterno ma la chiesa di S. Anatolia rimane fuori dalla giurisdizione di questa nuova “comunanza”.
Nel secolo XIII la pieve è ricordata due volte: in una pergamena dell’Abazia di Chiaravalle di Fiastra del 27 febbraio 1217, Onorio III comunica all’abate di Santa Croce, all’abate di San Savino e al preposto di San Martino in Variano che devono prendere sotto la loro protezione tutte le famiglie e tutti i beni dei crociati di Monte Rubbiano e della “plebe” di S. Anatolia partiti per la Terrasanta per la quinta crociata.
La seconda citazione riguarda le “rationes”ossia le decime che tutte le chiese e monasteri pagano negli anni che vanno dal 1290 al 1299. In questa tassazione il pievano di S. Anatolia è menzionato soltanto alla prima rata nel 1290 in quanto paga per tutto la somma di 20 soldi, il che dimostra senza dubbio la povertà della Pieve. Per questo la chiesa viene esonerata dal versamento delle decime degli anni successivi e non compare più negli elenchi.
Fra gli inizi e la fine del 1300 l’antico luogo della costruzione viene abbandonato, la chiesa è demolita e ricostruita ai piedi del colle del castello di Petritoli dove si trova tutt’ora, al suo posto viene eretta un’edicola o “Pintura”.